Ci sono mister che danno fiducia e traggono il massimo anche senza dover gridare o istaurare il clima del “terrore “per ottenere attenzione. Nel credo di Giorgio Dossena, c’è la voglia di infondere il suo sapere e di portare in alto una squadra più possibile, ascoltando, aiutando e dando fiducia ai suoi ragazzi. È un uomo che non cerca la gloria, quella nel bene o nel male l’ha già avuta. Non è un allenatore a cui servono i riflettori, non li ha mai desiderati. È semplicemente un mister che ama allenare e lo fa con estrema passione, e le sue interviste sono sempre qualcosa di prezioso da ascoltare.

Mister ci racconta qualcosa sulla sua carriera sia da tecnico ma anche da calciatore?

Si parla di tempi davvero lontani, ho iniziato ad Angera per poi andare a Varese, poi alla Gallaratese in D, per concludere gli ultimi anni a Sesto Calende e a Cadrezzate dove mi sono rotto il ginocchio e ho deciso di smettere. Avevo deciso di diventare un dirigente accompagnatore ma un mio compagno di squadra mi ha convinto ad iscrivermi al corso di allenatore arrivando piano piano ad ottenere l’abilitazione fino alla Uefa B. Da quel momento si sono aperte opportunità che mi hanno dato la possibilità di allenare.

Esperienze diverse, una anche in Svizzera le vuole raccontare?

In Svizzera a Mendrisio è stato molto interessante. Lunghe trasferte ed un buon campionato, poi sono tornato alla Sestese, una bella esperienza anche a Luino e ad Oleggio dove qui, ho avuto il modo di confrontarmi con il calcio Piemontese. Ricordo tra le altre panchine anche quella a Venegono fino ad approdare a Gavirate l’anno scorso.

Voleva fare il nonno e poi allenare scendendo di parecchie categorie, come mai ha cambiato idea?

Avevo in mente che era giunta l’ora di dedicarmi alla famiglia e al calcio in maniera più tranquilla, ma poi questa estate mentre facevo la riabilitazione per una operazione all’anca, mi ha chiamato il DS Sala, proponendomi di allenare il Briga. Mi ha convinto del progetto e la voglia di tornare in Piemonte mi stuzzicava; quindi, ho messo da parte ogni remora e ho firmato. Un mister che firma un contratto in ospedale non l’ho mai sentito, è capitato a me e mi fa sorridere, ma sono felice di averlo fatto. Forse è stato l’unico contratto ospedaliero-calcistico in Italia.

Ha una esperienza positiva e negativa da descriverci?

Non ho esperienze negative, sono state tutte cose che nella vita servono a crescere, forse non rifarei con il Mendrisio il campionato elvetico, non perché era una squadra brutta, anzi, ma perché era una società senza una vera dirigenza, dove mancava la base per una giusta organizzazione. Positive al 100% invece sono state ad esempio, quella ad Oleggio dove ho fatto anni molto belli come pure quella a Sesto.

Lei viene da un calcio diverso che poi piano piano si è trasformato cosa pensa di quello di oggi?

È cambiato tutto, è un calcio fisico e tattico, dove non hai il tempo di pensare. Una volta si aveva la possibilità di stoppare, pensare e calciare, oggi non puoi farlo, devi essere veloce. Poi a livello organizzativo tutto si è alzato. Ci sono tecnici abilitati ad allenare ad alte categorie che infondono nozioni che prima non esisteva. Elevano il calcio a livelli quasi professionistici calcolando tutto e non lasciando nulla al caso. Anche io come tanti mi sono adeguato alla nuova era con corsi e master per perfezionarmi. Il calcio di oggi poi è più veloce, ci sono meno contrasti perché, se la partita è piena di contrasti, vuol dire che non fai il tuo gioco, non velocizzi i passaggi e non ottieni possesso palla. Oggi è fondamentale il possesso palla se vuoi organizzare il tuo gioco ed avere più possibilità di segnare. Adesso c’è la costruzione dal basso che è di moda e i giocatori che non saltano più l’uomo direttamente con l’uno contro uno ma lo fanno indirettamente tramite passaggi. Tutto un concetto diverso da quando ho iniziato io e, come detto, ho dovuto adeguarmi ad ogni cambiamento.

È cambiato anche la tipologia di giocatore negli anni?

Si! sono più tecnici e devono avere sempre la alta velocità di pensiero. Nel calcio contano molte cose fondamentali ma tre sono basilari e sono: spazio, tempo e ritmo. Un giocatore che non sa muoversi nello spazio, non gestisce la tempistica e manca di ritmo è un calciatore oggi di basso valore. Poi ovvio serve altro, ma essere in grado di leggere i movimenti e spostarsi in maniera consona è di base. Quando ero io un giocatore, non si usava la marcatura “calcolata”. Io ero il numero 5 e marcavo il numero 11. Se fosse stato un avversario, alto, basso veloce o lento non sarebbe importato, importava solo che dovevo controllarlo a vista. Una volta per fermare Fabio Scienza sono diventato matto,  anche un giovane Beppe Signori, che giocava all’epoca nel Leffe, mi ha dato filo da torcere.  Ero inadatto ad un simile giocatore, ma un tempo era così. Ero uno come Annoni o Vierchowod, marcatura stretta ad ogni costo, oggi così nel calcio non vedo quasi più nessuno. Il mio compito era controllare e difendere, non per forza costruire, oggi si calcolano le marcature, e molto altro.

È soddisfatto della sua carriera?

Da calciatore non mi sarei mai immaginato di arrivare in serie D e giocare anche parecchie partite. Come mister sono contento di aver allenato bravi giocatori e aver dato il mio contributo.

È passato qualche “treno” che non ha preso?

Non saprei dirtelo, ho sempre pensato a giocare, o allenare, il resto non conta ormai è passato.

Oggi come vede il Briga?

È una squadra che ha qualità, lo si vede dai nomi che ha. Forse paghiamo il salto di categoria soprattutto di qualche giovane che deve ancora imparare che è un campionato diverso da quelli giovanili. A qualcuno manca autostima o non portano il bene che fanno durante gli allenamenti in campo alla domenica. Credo ci voglia ancora del tempo, ma alla fine potremmo fare una stagione di buona qualità. Sono ragazzi che in settimana danno il “150%” e non posso chiedere di più perché so che fanno sacrifici.

Alcuni giocatori tra cui Bertani dicono che è un mister preparato e una bella scoperta, è felice di questa stima nei suoi confronti?

Certo che mi fa piacere, poi se lo dice un giocatore che ha fatto una grande carriera a cui non credo bisogni insegnare nulla, ancora di più, ma so che devo dare a questi ragazzi ancora tanto. Mi metto sempre io di prima persona davanti alle responsabilità delle sconfitte, ma credo che sia io che loro stiamo lavorando bene e costruendo qualcosa di importante. Avere la stima della squadra è fondamentale, come detto, all’inizio ho voluto una squadra che potessi allenare senza pressioni, e che mi desse soddisfazioni, altrimenti sarei stato tranquillo a casa o avrei allenato in categorie minori, solo per il puro gusto di divertirmi.

S. Merlotti